





Distanza da Postignano
22,6 Km
La Valnerina è indissolubilmente legata alle origini del monachesimo occidentale per aver accolto, secondo un'antica tradizione, 300 monaci provenienti dalla Siria nel V secolo. Mauro e suo figlio Felice furono tra questi “transfughi” esemplari, rifugiatisi in una grotta su cui sarebbe poi sorta questa abbazia nell'Umbria sud-orientale. Secondo la leggenda, i due eremiti uccisero un drago che infestava la palude, così come raffigurato nel fregio al di sotto del rosone dell'attuale chiesa: è questo un mito che allude alla presenza di tali anacoreti che, rifugiatisi in presenza di acque e a presidio di importanti nodi viari, bonificarono e resero fertili le terre che li ospitavano.
La chiesa attuale fu edificata prima del 1194 come evoluzione monumentale di quell'antico presidio monastico e le sacre spoglie di Felice e Mauro trovarono ricovero in un sarcofago in pietra rosata oggi conservato nella cripta. A navata unica e con presbiterio fortemente rialzato, la chiesa venne ripristinata nelle sue originali forme in un radicale restauro degli anni ‘20 del secolo scorso.
È nella facciata che quindi si colgono meglio gli originali tratti dello stile romanico di area spoletina che ne ispirarono lo stile e di cui rappresenta uno dei più alti esempi: un semplice portale a duplice rincasso con arco a tutto sesto lunettato, lo spoglio timpano decorato dal simbolo dell'Agnus Dei, il rosone a due ordini con i simboli degli Evangelisti e soprattutto il fregio narrativo sottostante. Qui si inscena la storia dei due mitici fondatori, in particolare san Felice mentre uccide il drago che infestava la valle e poi pianta un bastone che, germogliando, rappresenta la raggiunta fertilità delle terre.
Lo spazio interno di questa tipica abbazia umbra colpisce per la nuda sobrietà, che molto deve ai moderni restauri. È tuttavia da notare la struttura, tipica del romanico spoletino, del presbiterio rialzato, in questo caso delimitato da colonnine in pietra in stile cosmatesco e da mosaici a labirinto.
I restauri di epoca moderna hanno liberato lo spazio da stucchi e altari di epoca barocca, per cui oggi sono apprezzabili alcuni antichi affreschi: un'Adorazione dei Magi (prima metà del XV secolo), San Michele Arcangelo con in una mano la bilancia della giustizia divina e nell'altra la lancia per trafiggere il drago demoniaco, San Felice nell'atto di uccidere il drago con l'iscrizione ormai quasi illeggibile: Hoc opus fecit fieri prior de denarris cuiusdam mulieris de Rocchecta, 1467, e Cristo benedicente con angeli, nella calotta absidale, opera del Maestro di Eggi (1440-1450), un pittore tuttora anonimo assai attivo in questa parte dell'Umbria.
Dopo aver notato le antiche sepolture e un paio di epigrafi romane di reimpiego, val la pena lasciare il vano della chiesa per inoltrarsi nella cripta sottostante attraverso le ben visibili scale laterali: qui, in una struttura bipartita forse legata al ricordo dei due eremiti, è il sarcofago dei due santi fondatori dell'abbazia.
A pochi passi dall'abbazia scorre il fiume Nera; oltre il ponte che lo attraversa si trova il centro di educazione ambientale di San Marco. Una parte dell'abbazia è oggi struttura ricettiva, con albergo e ristorante, mentre di fronte c'è un agriturismo e un'azienda agraria biologica che organizza escursioni naturalistiche, trekking a piedi, in bici e con asini.
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